Discorso introduttivo tenuto dalla nostra co-presidente Gülsüm Demirci:
Care compagne
a nome di tutte le compagne del Comitato do il benvenuto a questa assemblea
Sono emozionata e contenta di rivedervi.
Sono contenta perché possiamo riunirci attorno a un tavolo, in presenza.
Durante la pandemia ho capito l’importanza degli incontri dal vivo, quando ci si guarda in viso e il sorriso diventa spontaneo, quando si trasmettono pensieri e senti la vicinanza delle persone.
Sono emozionata perché è la prima volta che tengo un discorso a inizio assemblea.
Prima di iniziare i lavori, è doveroso per me e per noi tutte rivolgere un pensiero a una compagna che ci lasciati recentemente. La nostra compagna Margherita è partita lo scorso mese di ottobre. Femminista attiva è sempre stata presente ad ogni evento. La ricordo, già ammalata, alla manifestazione femminista a Berna, con la bandiera a chiedere giustizia e parità salariale per le donne.
E’ stato bello averla al fianco, lavorare con lei e condividere la sua voglia di vivere.
Grazie Margherita per quello che hai fatto per una società più giusta e per noi donne.
Fare il bilancio di un anno in poche parole non è sempre facile.
Lo sguardo alla realtà nostra, di donne in un paese che ha ricchezze ma che ha pure povertà, un mondo che crea disuguaglianze sempre più marcate fra le persone e che ha visto l’aumento del patrimonio dei milionari in modo vergognoso.
Per noi donne, poco o nulla è cambiato. Le disuguaglianze e gli stereotipi persistono con modalità, espressioni, manifestazioni diverse; in altre parole assumono un vestito nuovo su uno stampo vecchio, anzi antico.
Pensiamo alla pandemia. Le donne sono state duramente colpite a livello economico, le prime ad essere licenziate, ad avere il lavoro ridotto, ad assumersi il carico della cura della famiglia intera. E’ doveroso ricordare – proprio in questo contesto – come la pandemia ha messo il dito nella piaga del sistema sanitario dove le condizioni di lavoro sono estremamente pesanti e – fortunatamente – potranno essere in parte migliorate grazie al risultato della votazione sulle cure infermieristiche del novembre scorso.
La pandemia ha costretto il lavoro a casa per molte di noi, uno sforzo supplementare di organizzazione, di ricerca nel giostrare il proprio tempo con la didattica a casa dei figli e delle figlie o con le esigenze quotidiane.
Le donne sono in prima linea nei servizi ma anche nella vendita e una minaccia incombe su di loro: la proposta di apertura dei negozi in città anche di domenica. Tutto questo in nome delle leggi di mercato, leggi del sistema capitalista. Ci batteremo affinché le venditrici possano trascorrere le domeniche in libertà e non dietro alla cassa di un negozio, grande o piccolo.
Le donne sono sempre quelle che accanto alla professione hanno la responsabilità generale della cura della famiglia. Sulle loro spalle pesa il pensiero di trovare equilibrio fra tutte e tutti, anche con l’aiuto – eventuale – del partner.
Un altro grosso problema è quello della violenza sulle donne. Questo non rappresenta una novità ma quello che fa paura è la violenza di gruppo su giovani donne, ragazze che sono in strada, in piazza – come è successo per esempio a Milano – a festeggiare come tante altre persone o ragazze che stanno camminando per strada. Fa riflettere il fatto che fra gli aggressori vi sono ragazzi minorenni, che magari non si conoscono ma fanno gruppo contro, sentendosi forti e nello stesso tempo divertendosi. Come può una ragazza giovane essere tranquilla? Come possiamo noi – donne adulte – stare zitte di fronte alle violenze gratuite?
Il tema della violenza su noi donne, il considerare il suo corpo e la sua persona come “proprietà” del partner (e qui semplifico) ci porta ai femminicidi, alle violenze domestiche. Di questo ne parlerà dopo Chiara Orelli.
Un tema che ci ha accompagnate durante quest’anno e su cui abbiamo lavorato all’interno della rete nateil14giugno è quello del linguaggio usato dai media per illustrare fatti avvenuti contro le donne, contro il loro corpo. Le riflessioni in atto sono parecchie, a vari livelli e istituzioni. Il linguaggio è importante perché veicola cultura.
Ci siamo chinate a capire cosa si potrebbe fare per tentare un cambiamento. La risposta è stata facile da trovare: la poca visibilità delle donne dibattiti, nelle conferenze e negli articoli; ma anche il linguaggio stereotipato e antico utilizzato dal mondo dei media e dal sistema giuridico.
Bisogna lavorare duramente per aumentare la rappresentazione femminile e per cambiare messaggi e immagini che i media utilizzano e su questo continueremo a impegnarci.
Per affrontare la crisi e per cambiare lo stato delle cose è necessario pensare al nostro sistema e passare da una società dove solo il danaro conta a una società dove le relazioni umane contano, dove la cura è il valore prioritario perché questo comporta attenzione all’altra e all’altro, alla relazione.
Abbiamo bisogno che il sistema cambi affinché tutte e tutti possano sentirsi cittadini e cittadine a pari titolo, con rispetto reciproco e con la volontà di costruire il nostro mondo assieme, senza competizione e nel rispetto dell’ambiente.
Non posso chiudere questo mio intervento senza ricordare che il 2021 è stato l’anno che ha ricordato come 50 anni fa gli uomini svizzeri hanno finalmente concesso il diritto di voto alla donna: la Svizzera è così diventata un paese come gli altri ma con un ritardo notevole rispetto a quasi tutti i paesi del mondo. Io – 50 anni fa – non avrei potuto sentirmi partecipe della vita collettiva e forse non avrei nemmeno potuto vivere in Svizzera perché non era facile – per le donne, bambine e bambini stranieri- il raggiungimento familiare.
La società evolve. L’ho detto prima. Ma devo anche ripetere che in questa evoluzione la donna rimane sempre perdente, sembra restare al palo: è per questo che non possiamo prendere una pausa ma dobbiamo – insieme – proseguire nella lotta, con determinazione, come faceva la nostra compagna Margherita.