Tutte voci femminili per un comitato cantonale socialista voluto dalle copresidenti Corinne Sala e Laura Riget.
Ha aperto la discussione politica l’intervento di Cristina Zanini, seguito da Lisa Boscolo e Lorena Gianolli che hanno spiegato il motivo che ha portato al secondo sciopero nazionale delle donne e presentato il Manifesto socialista. Accolto dal Comitato
Pepita Vera Conforti ha illustrato l’Agenda 54 Donne elettrici e gli obiettivi di legislatura 2019-2023 che dovrebbero consolidare le politiche messe in cantiere da Governo e Parlamento.
Successivamente Gina La Mantia ha presentato i punti principali dell’iniziativa PSS Limitare i premi delle casse 10% del reddito disponibile, mentre Tatiana Lurati ha ribadito i motivi della posizione del PS nella negoziazione del salario minimo anche in prospettiva del lavoro delle donne, spesso sottopagato.
A concludere il Comitato ha sottoscritto le rivendicazioni della Gioventù socialista sul clima a cui ha dato voce Daniela Falconi.
Servizio del Quotidiano RSI 21.3.2019
Ecco l’intervento di Lisa Boscolo sui 19 punti del Manifesto femminista.
Presentazione del Manifesto per lo sciopero femminista con aggiunte personali
Dalle parole allo sciopero
dopo le spiegazioni del contesto dello sciopero, come si è giunte alla decisione di uno sciopero delle donne* a livello nazionale, passiamo a specificare il perché di questo sciopero: perché dalle parole passiamo allo sciopero.
Lo farò semplicemente elencandovi i 19 punti, le 19 ragioni dello sciopero femminista racchiuse nel manifesto che noi, oggi approveremo. Sono 19, sono tante complete, dense e convincenti. 19 rivendicazioni che hanno convinto tutto il coordinamento cantonale e di tutta la Svizzera. Mi permetto di fare delle aggiunte personali, di completare le rivendicazioni con riflessioni mie.
Lo sciopero delle donne* del 1991 è stato un immenso slancio verso la parità che ha portato alcuni risultati concreti:
– legge federale sulla parità tra uomini e donne
– congedo maternità,
– lo splitting e i bonus educativi nell’AVS,
– la soluzione in materia di aborto
– misure contro la violenza domestica.
Certo di risultati ne abbiamo ottenuti durante questi ultimi 20 anni, ma abbiamo anche assistito all’ascesa di politiche neo-liberali: i servizi pubblici sono stati messi sotto pressione, le prestazioni sono state ridotte, settori come quello della salute sono stati sottoposti alla logica di mercato, le condizioni di lavoro e di pensione sono peggiorate. L’economia capitalista vuole massimizzare i profitti a scapito dell’essere umano e dell’equilibrio ecologico. Le donne* sono le prime a subirne le conseguenze in quanto lavoratrici precarie, migranti o madri, spesso uniche responsabili della casa e dei figlie e delle figlie. E soprattutto il sessismo, le disuguaglianze e le violenze contro le donne* persistono, malgrado un discorso politicamente corretto sulla parità e malgrado il fatto che la parità sia iscritta nella Costituzione federale dal 1981.
Ora abbiamo bisogno di un altro sciopero, di un nuovo slancio verso la parità.
Rivendicare la parità significa costruire una società in cui ciò che conta è il rispetto e il benessere di ogni essere umano.
E qui arrivo ai 19 punti.
Perché scioperiamo?
1. Perché stiamo stufe delle disparità salariali e delle discriminazioni nel mondo del lavoro
A causa delle disparità, subiamo maggiormente il precariato, la disoccupazione e la povertà.
Svolgiamo la maggior parte dei lavori precari e mal retribuiti, mentre solo poche di noi accedono a posti di responsabilità. Le professioni “femminili”/ femminilizzate vengono svalorizzate, perché le competenze richieste non sono riconosciute.
Per questo chiediamo:
un salario uguale per un lavoro di valore uguale;
una revisione della Legge sulla parità che preveda controlli e sanzioni;
sottoporre il settore dell’economia domestica alla Legge sul lavoro.
2. Perché vogliamo delle rendite che ci permettano di vivere dignitosamente
Come ho detto prima la disoccupazione, la precarietà e la povertà hanno spesso un volto femminile, in particolare per le donne meno giovani. Oltre a questo le assicurazioni sociali non prendono in conto i nostri percorsi di vita e non rispondono ai nostri bisogni. Non sono tenuti in conto i rischi e la pesantezza specifici ai mestieri femminili. E qui faccio un esempio concreto, per il mio lavoro di bachelor sto intervistando mamme sole in situazioni di woorking poor. Mi parlano delle loro vite, dei loro percorsi e del loro lavoro. Una di queste fa l’assistente di cura in una casa anziani e mi dice “il mio mestiere è faticoso, ho 38 anni e ho problemi di schiena, alzo e sposto anziani tutto il giorno, non capisco perché non posso avere la pensione anticipata come ce l’hanno muratori, operai di cantieri,… che loro come me fanno dei lavori faticosi”. Questo per farvi capire che anche le donne fanno lavori faticosi che logorano corpo e mente.
Quindi rivendichiamo:
assicurazioni sociali, in particolare una previdenza vecchiaia, che tengano conto dei nostri bisogni e della nostra realtà.
Inoltre ci opponiamo all’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne, perché subiamo diverse discriminazioni durante tutta la nostra vita attiva.
3. Perché vogliamo che il lavoro domestico, educativo e di cura così come il suo carico mentale siano riconosciuti e condivisi.
Non abbiamo nel nostro DNA il gene del lavoro domestico, io in primis, ma questo lavoro continua ad essere attribuito principalmente a noi donne per una costruzione sociale e culturale dei ruoli, per fortuna sta cambiando con le mie generazione. Il carico fisico e mentale (l’organizzazione della settimana, pensare alla lista della spesa,..) che implica il lavoro domestico non è preso in considerazione. Questo lavoro è svalorizzato al punto da diventare invisibile. Si tratta però di un lavoro indispensabile al funzionamento stesso dell’economia e della società.
Ultimamente si venerano i nuovi uomini che riescono a fare i papà, a occuparsi della casa e vanno a lavorare. Mi chiedo perché cominciamo a valorizzare il lavoro domestico solo quando queso viene svolto dagli uomini. E aggiungo: quando le donne conciliano lavoro e famiglia vengono accusate di essere delle pessime madri egoiste.
Rivendichiamo dunque
la riconoscenza sociale del tempo di lavoro domestico in tutte le assicurazioni sociali, in particolare nelle nostre pensioni:
La condivisione o meglio la spartizione di questo lavoro domestico
4. Perché ci sfiniamo a lavorare: vogliamo ridurre il tempo di lavoro
Il tempo di lavoro professionale è stato definito sul modello culturale del padre che lavora a tempo pieno e della madre casalinga (statisticamente sta cambiano nel senso che il padre lavora al 100%, mentre la madre a tempo parziale, un piccolo cambiamento non abbastanza per raggungere la parità). Questo modello, costruito su stereotipi della mascolinità e della femminilità, è ormai superato, o dovrebbe essere superato.
Quindi per uscire dalla trappola del lavoro a tempo parziale, rivendichiamo:
una forte riduzione del tempo di lavoro legale sia per donne che uomini: lavorare meno per vivere meglio;
più congedi condivisi nel corso della vita attiva
5. Perché il lavoro educativo e di cura deve essere una preoccupazione collettiva
Per far sì che le madri possano proseguire la loro attività professionale, è indispensabile sviluppare la politica delle struttura d’accoglienza per bambini e bambine, per le persone anziane o malate.
Rivendichiamo dunque:
lo sviluppo di questi servizi pubblici di qualità per la presa a carico delle persone anziane, e di bambini e bambine.
6. Perché rivendichiamo la libertà delle nostre scelte per quel che riguarda la sessualità e l’identità di genere
La sessualità femminile è poco conosciuta e disprezzata pure dalle donne stesse e se una si conosce sessualmente e/o ha una vita sessuale attiva viene giudicata come una donna facile.
L’educazione al consenso è praticamente inesistente. L’eterosessualità è considerata come l’unica norma da seguire ed è all’origine del rifiuto di tutte le altre forme di sessualità, in particolare quelle delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer e intersessuali. Rifiuto che porta a una disparità in termini di diritti. Ancora oggi, il mondo medico considera le trans-identità come una patologia e continua a compiere mutilazioni genitali sulle persone intersessuali.
Rivendichiamo:
gli stessi diritti e doveri delle coppia eterosessuali, quindi matrimonio ( che nel frattempo sembra essere passato a livello federale), adozione o di figliazione;
un accesso adeguato alle cure, senza stigmatizzazione e mutilazione
7. Perché il nostro corpo ci appartiene, esigiamo di essere rispettate e libere delle nostre scelte
Ci sono imposti o proibiti capi di abbigliamento e modi di vestirci.
Il potere patriarcale ci sottomette al culto della magrezza e della giovinezza. Il corpo medico è poco formato in ambito di salute sessuale, riproduttiva e di salute generale delle donne, al punto che un attacco cardiaco può essere confuso con una semplice crisi d’ansia. La società continua a normare la maternità e la non-maternità, il nubilato, le relazioni intime,…
Rivendichiamo:
la libera scelta nell’ambito della riproduzione;
la gratuità e la scelta dei metodi di contraccezione e delle protezioni mestruali;
il diritto a un aborto libero e gratuito;
e per ultimo per nulla scontato l’accesso gratuito ai trattamenti nel caso di una transizione basata sull’autodeterminazione.
8. Perché rifiutiamo la violenza sessista, omofoba e transfobica, non chiniamo la testa
In Svizzera, ogni mese due donne muoiono per mano del loro (ex)partner. Nell’arco di una vita, una su cinque subisce violenze fisiche e/o sessuali all’interno di una relazione di coppia. Le aggressioni sessiste, misogine e contro le persone LGBTIQ nello spazio pubblico sono allarmanti. Se il femminicidio è una realtà, è perché gli atti di violenza ordinaria sono banalizzati in tutte le sfere della società. Le molestie sul luogo di lavoro o di formazione, in strada o sui social ci concernono tutte noi.
Chiediamo:
un piano nazionale di lotta contro le violenze sessiste che preveda le risorse necessarie per garantire la nostra sicurezza e quelle dei nostri figli e delle nostre figlie. E con sicurezza non si riferisce alla chiusura della frontiera o l’aumento del numero del corpo della polizia
9. Perché vogliamo che la vergogna cambi campo
Non accettiamo l’impunità degli autori di violenze sessiste. Esigiamo programmi di prevenzione precoce nelle scuole e la formazione dell’insieme del personale legato a questo ambito: il corpo medico, la polizia, i servizi sociali, gli/le avvocati/e e i/le giudici. Tutte le donne* vittime di violenza devono essere ascoltate, accolte, rispettate, protette e sostenute. Le molestie in tutte le loro forme e in qualsiasi luogo avvengano, devono essere combattute politicamente e non soltanto condannate moralmente.
10. perché quando veniamo da un altro paese, viviamo discriminazioni molteplici
Se partiamo, è a causa di un’economia mondializzata che ha impoverito i nostri paesi d’origine, a causa delle guerre e della violenza che subiamo. Qui, le nostre formazioni e i nostri diplomi non sono riconosciuti. Per questo siamo spesso confinate alle attività domestiche e ai mestieri di cura. Ci occupiamo dei bambini e delle bambine, delle persone anziane, delle case. Compiti invisibili, non riconosciuti e non valorizzati. In alcuni casi siamo a disposizione dei nostri datori 24 ore su 24, a volte senza statuto legale.
Rivendichiamo:
un vero e proprio accesso alla giustizia, senza il rischio di essere espulse (questa realtà accade tutt’ora)
la regolarizzazione del nostro statuto;
una legislazione che ci protegga contro le molteplici forme di discriminazioni che subiamo in quanto donne, migranti e lavoratrici.
11. Perché il diritto d’asilo è un diritto fondamentale, chiediamo il diritto di restare quando le nostre vite sono in pericolo
Il diritto d’asilo non tiene conto delle violenze specifiche al genere, né nel nostro paese d’origine, né durante il percorso migratorio, né nel paese d’accoglienza. Spesso le violenze che subiamo sono indicibili e, quando sono espresse, non sono ascoltate. Il nostro diritto di soggiorno dipende da quello del nostro marito: una logica inaccettabile.
Rivendichiamo:
il diritto di essere protette nel paese in cui domandiamo asilo, qualunque sia il nostro stato civile, il colore della nostra pelle, la nostra nazionalità, il nostro orientamento sessuale, l’identità di genere o la nostra appartenenza religiosa.
12. Perché la scuola è il riflesso della società patriarcale, rinforza le divisioni e le gerarchie fondate sul sesso
I percorsi scolastici e professionali dei e delle giovani sono condizionati da valori, norme, regole, modelli proposti dagli istituti scolastici, così come da pratiche, supporti e strumenti pedagogici, contenuti d’insegnamento, manuali scolastici, interazioni ed anche dall’istituzione stessa. Vogliamo che la scuola sia un luogo di emancipazione e di promozione della parità, tramite l’utilizzo di un linguaggio inclusivo, formazioni pedagogiche critiche, modelli femminili e familiari variegati, uno spirito cooperativo e solidale. A questo scopo, vogliamo che il corpo insegnante e l’insieme delle persone che intervengono nell’ambito pre-scolastico, scolastico e para-scolastico siano formati su questi temi e vengano cambiati i contenuti didattici, migliorato il discorso e la logica inclusiva e paritaria
13. Perché vogliamo corsi di educazione sessuale che parlino del nostro corpo, del piacere e della diversità
La prevenzione in ambito della salute sessuale, in particolare per quel che riguarda le violenze, le gravidanze non desiderate, le infezioni sessualmente trasmissibili è importate. Ma occorre anche parlare di vita affettiva e sessuale, del corpo, delle sensazioni, del piacere e in particolare del piacere femminile.
Rivendichiamo
corsi sull’educazione e salute sessuale siano dispensati da persone professioniste specializzate in questo campo e un aumento di queste ore di corso;
un’educazione alla diversità sessuale, in cui vi sia spazio per parlare di orientamenti sessuali e identità di genere;
un’educazione sessuale paritaria, in cui anche il piacere femminile venga valorizzato
14. Perché gli spazi relazionali devono diventare luoghi di scambio e di rispetto reciproco
bisogna esperimentare nel proprio quotidiano nuove modalità di relazioni sociali senza violenza, in cui l’autogestione e la condivisione sostituiscano le pratiche autoritarie e standardizzate della società patriarcale e capitalista. Vogliamo una società in cui il lavoro produttivo sia al servizio degli interessi comuni degli essere umani e non del profitto capitalista, in cui l’equità sociale, l’equilibrio ecologico e la sovranità alimentare siano valori inalienabili.
15. Perché le istituzioni sono state concepite su un modello patriarcale e di classe, all’interno del quale siamo marginalizzate
Nello spazio pubblico e politico, le discriminazioni di classe, di razza, d’orientamento sessuale, d’identità di genere o legate a un handicap si sovrappongono. Occorre dare maggiore spazio agli ambiti in cui agiamo al quotidiano – dalle associazioni di quartiere alle scuole – all’interno dei processi decisionali legati alle politiche pubbliche. Occorre aprire spazi di negoziazione di dialogo . Solo così potremo essere maggiormente rappresentate in politica, nelle istituzioni e nei parlamenti.
16. Perché noi, attrici culturali, siamo troppo spesso poco considerate e riconosciute
Le pratiche artistiche e culturali, soprattutto quando sono frutto del nostro lavoro, sono troppo spesso considerate come passatempi e non come una professione in piena regola e che merita un’adeguata visibilità e remunerazione. Nel corso di tutta la storia e ancora oggi, siamo state spesso invisibilizzate, mentre il titolo e gli onori dei “grandi artisti” erano riservati esclusivamente agli uomini. Siamo confrontate a tutta una serie di discriminazioni di genere che ci impediscono di accedere ai posti di responsabilità più prestigiosi e meglio remunerati (programmazione, produzione, direzione artistica,…). Esigiamo che le istituzioni culturali e mediatiche modifichino i loro comportamenti quando attribuiscono posti, affidano mandati, conferiscono premi e versano salari. Chiediamo l’istaurazione immediata di un’informazione ampia ed aperta sulle discriminazioni di genere in tutti i luoghi culturali, così come nelle nostre istituzioni pubbliche e scolastiche.
17 Perché viviamo in una società che veicola rappresentazioni stereotipate della “donna”
Nei media, nei film, nelle produzioni culturali, nei libri, dell’educazione e fin dall’infanzia siamo costrette ad identificarci ad alcuni modelli fissi di donne (bianca, eterosessuale, cis-genere, sexy, materna, emotiva, infantile), modelli che al contempo ci stigmatizzano. Il nostro corpo è esposto in permanenza nei luoghi pubblici e secondo codici sessisti (cartelloni pubblicitari, manifesti di spettacoli o di film). L’uso comune di questi stereotipi partecipa alla cultura dello stupro e rafforza la banalizzazione delle violenze di genere. Vi faccio solo l’esempio della pubblicità sessista che incitava alla violenza contro le donne dello stilista con sede a Lugano Philip Plein.
Rivendichiamo:
il diritto a una rappresentazione plurale e positiva che permetta di valorizzarci;
esigiamo che le violenze di genere siano mediatizzate per quel che sono: un fatto sociale che avviene sia nella sfera privata sia in quella pubblica e che tocca la maggior parte di noi.
18. Perché siamo solidali con le donne del mondo intero
Dappertutto le donne sono vittime di violenze specifiche. Lo stupro è ampiamente utilizzato come arma di guerra. Nei campi per rifugiati/e, anche in Europa, le donne sono esposte a violenze sessiste. L’aborto è ancora proibito in numerosi paesi. Diverse donne sono vittime di “crimini d’onore” che restano spesso impuniti. All’interno di fabbriche spesso di proprietà di multinazionali le donne lavorano in condizioni disumane e per salari da fame, mettendo in pericolo la salute o persino la vita. Sosteniamo con tutti i nostri mezzi una migliore protezione delle donne, siamo parte attiva dei movimenti di lotta delle donne del mondo intero.
19. Perché vogliamo vivere in una società solidare senza razzismo, senza sessismo, senza omofobia e transfobia
Queste categorie sono costruite per dividerci e per limitare i nostri diritti. Sia che siamo nate qui, sia che veniamo da altri paesi, siamo discriminate sulla semplice base del colore della nostra pelle, del tipo di capelli, del nome di famiglia, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale. Denunciamo il razzismo strutturale presente in tutte le sfere della società, che ha ripercussioni dirette su di noi a scuola, al lavoro, per strada. Esigiamo misure concrete per lottare contro queste oppressioni specifiche e che siano indagati e forniti dati precisi sugli effetti del razzismo, del sessismo e dell’omofobia in Svizzera. Vogliamo che le nostre differenze siano riconosciute e che la parità sia garantita a tutte*.
Per questi e per altri buoni motivi noi il prossimo 14 giugno scioperiamo!