In questi giorni cominciano ad apparire le prime voci attorno alle prossime votazioni federali del 27 settembre e quindi anche attorno al congedo paternità, approvato dal Parlamento federale e contro il quale è stato lanciato un referendum.
La Svizzera è fanalino di coda rispetto a questo diritto. Persino l’Unione europea, per nulla aperta alle prestazioni sociali, ha delle direttive sempre più vincolati e dal 2022 estenderà il diritto al congedo paternità retribuito di almeno 10 giorni. In alcuni paesi, non solo vi è il congedo paternità ma vi è anche quello parentale.
Da noi invece non esiste ancora nessun diritto disciplinato a livello federale: tutto dipende dai regolamenti delle istituzioni pubbliche più sensibili e come pure dalle concessioni dei datori di lavoro.
Ma sappiamo che la Svizzera è sempre in ritardo per quanto riguarda la politica familiare. Basti ricordare il lungo iter per avere il diritto a un congedo maternità le cui proposte di applicazione sono state respinte a più riprese. Allora, accanto ai timori di costi eccessivi a carico delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese si presupponeva che fosse il ruolo della donna nel mondo del lavoro a non essere riconosciuto. Pesava pure un patriarcato retrogrado e difficile a morire che vedeva la donna unicamente nel ruolo di madre e casalinga.
Ma purtroppo ancora oggi, sotto altre spoglie, questo pensiero è presente. Con il pretesto di non creare nuove uscite alle finanze federali e ulteriori spese all’economia, si maschera un’idea superata dalla realtà che è quella della divisone dei compiti tra genitori, una divisione rigida che vede il padre a portare a casa lo stipendio e quindi poco presente in famiglia mentre alla madre spetta il compito della cura.
Ma quello che è più grave è il fatto di non riconoscere come la relazione, la condivisione delle emozioni, l’apprendistato di madre e padre siano importanti per tutte e tutti, grandi e piccoli. E a questa rimozione va aggiunta la volontà – conscia o inconscia – di mettere un freno al cambiamento culturale in atto nel mondo delle famiglie. Perché questo mondo è in movimento, piaccia o non piaccia a coloro che credono cha la politica familiare sia un fatto unicamente privato. Ce lo ripetono spesso. Ce lo lo dicevano anche quando noi donne ci battevamo per il riconoscimento penale delle azioni di violenza domestica e chiedevamo l’intervento delle istituzioni perché la violenza contro chiunque non può essere mai considerata un fatto privato.
Come allora, anche oggi per il congedo paternità, sullo sfondo dei dibattiti che avvengono e che avverranno vi è un cambiamento culturale in atto da sostenere: un SI all’iniziativa e quindi un NO al referendum rappresentano un piccolo passo verso questo cambiamento culturale.
In altre parole, riconoscere il minimo di due settimane di congedo paternità pagato significa riconoscere da parte della Stato il valore delle persone non solo come portatrici di benessere economico ma anche e soprattutto vuol dire sottolineare il ruolo della relazione tra i generi e le generazioni. Un piccolo, timido passo nel mettere in evidenza che è il tempo un bene prezioso per creare rapporti costruttivi tra genitori, figli e figlie e non le infinite iniziative di sgravi fiscali che vanno unicamente a vantaggio di coloro che sono benestanti o ricchi.
di Sonja Crivelli
apparso sul Corriere del Ticino del 19 agosto 2020