Intervista di Aldo Sofia per il portale di informazione Naufraghi/e ad Agnese Zucca, co-promotrice e membra del Comitato nazionale dell’Iniziativa per la democrazia,
La motivazione principale dell’iniziativa popolare “Per un diritto moderno di cittadinanza” è che la Svizzera rimane una delle nazioni europee in cui per uno straniero – ormai stabilmente residente – è più difficile ottenere la naturalizzazione. Quali sono le cifre, anche nel confronto con altri paesi, a sostegno di questa affermazione?
La Svizzera ha una delle leggi sulla cittadinanza tra le più restrittive d’Europa. Per quanto riguarda le procedure di naturalizzazione ordinaria, la Svizzera si trova penultima in classifica, secondo i dati del Global Citizenship Observatory dell’Istituto Universitario Europeo (EUI), che costruisce questo indicatore sulla base delle condizioni previste dalle legislazioni degli stati europei, tra cui requisiti linguistici, economici, e di integrazione civica e culturale. Questo è l’aspetto legale. Si possono poi confrontare i tassi di naturalizzazione, che misurano il rapporto tra il numero di persone che ottengono la cittadinanza e il totale della popolazione straniera residente. Nel 2020, la Svizzera esibiva un tasso inferiore alla media europea (1.57% contro 1.83%). Se consideriamo soltanto le naturalizzazioni ordinarie, nel 2020 il tasso di naturalizzazione in Svizzera era dell’1.3%. Esistono poi importanti variazioni intercantonali, dal 2% di Neuchâtel allo 0.6% di Glarona. In Ticino, invece, il dato è identico a quello nazionale. È comunque importante sottolineare che questi dati tengono conto soltanto delle domande accettate, e non del totale delle domande di naturalizzazione inoltrate. Non sappiamo quindi quante sono quelle respinte.
Quali sono a vostro parere le principali cause di una situazione che – come sottolineate – esclude dalla vita e dalla partecipazione democratica circa un quarto dei cittadini, questa è infatti la percentuale degli stranieri
Per capire il sistema attuale credo si debba riflettere sul contesto politico più ampio di questo Paese. La Svizzera ha a lungo dimostrato una certa reticenza verso la popolazione con un presente o un passato migratorio. I cittadini svizzeri sono stati chiamati alle urne ben dodici volte, da Scharzenbach in poi, per esprimersi su iniziative che volevano limitare l’immigrazione e lottare contro il cosiddetto “inforestierimento”. L’UDC in particolare, a partire dalla sua ascesa negli anni ‘90, ha fatto delle questioni migratorie e d’integrazione il suo cavallo di battaglia. Più di recente, la revisione della legge sulla cittadinanza entrata in vigore nel 2018 ha introdotto ulteriori restrizioni e ostacoli per coloro che desiderano accedere alla cittadinanza, tra cui ad esempio la necessità di essere in possesso di un permesso C. Nonostante la realtà demografica del Paese abbia continuato ad evolvere, il Parlamento continua a dimostrare di non volersi mettere al passo con i tempi. Quest’anno, anche le proposte provenienti da forze politiche moderate che chiedevano un allentamento di alcuni criteri – tra cui i termini di residenza – sono state bocciate dall’Assemblea Federale.
La decisione finale per l’attribuzione della cittadinanza spetta ai Comuni: sembrerebbe la soluzione più logica se si pensa che è proprio in ambito comunale che la comunità e i suoi rappresentanti possono conoscere meglio il grado di integrazione sociale e i comportamenti dei candidati al passaporto svizzero; oppure è proprio nei Comuni che si possono cristallizzare sulla presenza degli stranieri pregiudizi e opposizioni?
Il problema è che la legge sulla cittadinanza lascia un ampio margine di manovra ai cantoni e ai comuni, soprattutto rispetto alla verifica di quelle che vengono chiamate integrazione riuscita e familiarizzazione con le condizioni di vita svizzere. È quest’ambiguità, e il margine di manovra che appunto ne consegue, ad aprire le porte all’arbitrarietà che può verificarsi a livello comunale. Qualche giorno fa, la stampa svizzero tedesca ha riportato alcune domande poste ai candidati alla naturalizzazione nel Canton Svitto. Tra queste, una verteva sul colore delle mucche in una località del cantone. Fece scalpore anni fa il rifiuto della domanda di un residente di Bubendorf (BL). Tra le motivazioni vi era il fatto che l’uomo passeggiasse spesso in pantaloni da ginnastica. Recentemente, la domanda di un quindicenne argoviese è stata invece respinta perché il giovane si era reso colpevole di aver truccato il suo motorino. A volte a queste decisioni seguono dei ricorsi, o come nel caso di Basilea, il cantone interviene. Tuttavia, ci sono molte storie come queste. Credo sia ragionevole pensare che non siano questi gli indicatori per verificare un’integrazione riuscita, e che a prescindere da ciò, non debbano essere questi i criteri sui quali si decide se un individuo possa ricevere la cittadinanza. Per cambiare questa situazione, serve però risolvere il problema a monte, modificando le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza, rendendole oggettive e soprattutto esaustive.
Quali sono i più vistosi esempi di discriminazione o di rifiuti a vostro giudizio immotivati?
Esempi come quelli appena elencati, che hanno a che vedere con giudizi dubbi e poco oggettivi sull’integrazione delle persone, appaiono particolarmente immotivati. Segnalo un importante progetto nato nel Canton Svitto, Einbürgerungsgeschichten, che raccoglie le testimonianze di persone che hanno subito discriminazioni e decisioni vessatorie durante la procedura. Un altro elemento a mio avviso problematico riguarda l’impossibilità di inoltrare una domanda, o il suo rifiuto, dovuto a una precedente percezione di aiuti sociali. La legge prevede che chi percepisce prestazioni dell’aiuto sociale durante la procedura, o nei tre anni precedenti alla domanda, non soddisfa il requisito di partecipazione alla vita economica, e i Cantoni possono rendere ancora più restrittiva questa condizione. In Ticino il richiedente non deve aver percepito aiuti sociali nei dieci anni precedenti alla domanda, a meno che non li abbia restituiti in toto. Queste disposizioni vanno a punire le persone che per un momento, anche breve, della loro vita, si sono trovate in una situazione di indigenza economica.
Vi è maggiore ostilità nei confronti di cittadini provenienti da talune aree, per esempio arabe o africane, rispetto ad altre regioni? Lo si può pensare visto anche l’accoglienza speciale data agli ucraini (che però sta scemando) rispetto ad altri tipi di rifugiati
Si possono considerare diversi aspetti. Da un punto di vista legale, per i cittadini di alcuni paesi la procedura presenta ostacoli più importanti che per altri. Come detto in precedenza, dal 2018 è richiesto un permesso C per inoltrare una domanda di naturalizzazione. Questo requisito rende complessa la situazione per chi arriva in Svizzera nell’ambito di una procedura d’asilo, soprattutto per i detentori di un permesso F – di ammissione provvisoria, poiché queste persone devono prima di tutto attendere almeno cinque anni per poter richiedere un permesso B, e poi proseguire con tutto il resto della procedura (permesso C e naturalizzazione). L’origine di un individuo, e i motivi per i quali si stabilisce qui, possono quindi rendere più lungo il percorso verso la cittadinanza. Si può poi considerare la presenza di discriminazioni sulla base dell’origine durante la procedura. Uno studio apparso ormai dieci anni fa sull’American Political Science Review, aveva dimostrato che nei comuni in cui fino ai primi anni 2000 i cittadini decidevano delle domande di naturalizzazione tramite voto popolare, le richieste di persone originarie da Turchia ed Ex-Iugoslavia venivano respinte molto più spesso rispetto a quelle dei cittadini di altri paesi occidentali. Questo studio rappresenta però un’eccezione. Oggi, purtroppo, non siamo infatti in possesso dei dati che ci permetterebbero di verificare la presenza di tali discriminazioni. Ciò non esclude che possano esistere. Infine, il sistema si presenta ostile verso alcune fasce della popolazione anche per altre ragioni. Oltre ai requisiti economici menzionati in precedenza, anche le sempre più elevate esigenze linguistiche sono problematiche da questo punto di vista, perché non tengono conto che a seconda dell’età, della lingua di partenza, e soprattutto della situazione lavorativa e finanziaria di un individuo può essere più o meno facile ottenere tali certificazioni.
A ben vedere è pur sempre anche il clima politico del momento a determinare l’atteggiamento nei confronti delle naturalizzazioni: e oggi per dirla schiettamente il clima politico non è certo favorevole, visto che il tema del freno al fenomeno migratorio è sempre un cavallo di battaglia anche strumentale della destra, per la quale si prevede un’ulteriore avanzata alle ormai vicinissime elezioni nazionali. Non sembrano proprio tempi ideali per la vostra raccolta di firme
È vero che queste tematiche sono state tradizionalmente appannaggio della destra. Questo però è parte del problema, perché in questo Paese si parla di cittadinanza e immigrazione soltanto in reazione alle proposte di politiche restrittive avanzate dalla destra. Noi vorremmo promuovere un discorso diverso sulla questione, che rifletta i cambiamenti sociali e demografici che sono di fatto già avvenuti. Continuare ad escludere una fetta così grande della popolazione dalle decisioni politiche, a lungo termine, potrebbe creare un deficit democratico. L’iniziativa, chiedendo un cambiamento di paradigma nel diritto della cittadinanza, cerca di promuovere una nuova visione della nostra società.
Il cosiddetto ‘anti-inforestieramento’ è stato una presenza e un’inquietudine costante nella storia svizzera del dopoguerra, cosa vi fa pensare che vi siano oggi le premesse per una svolta parziale? Cosa dovrebbe convincere chi svizzero lo è già a fornire lo stesso diritto di cittadinanza a più di 2 milioni di persone?
Come dicevo, la società svizzera è cambiata, si è diversificata, ed è importante avviare un dibattito diverso, positivo, su queste questioni. Quello che chiediamo ai cittadini, tramite l’iniziativa, è se desiderano rendere le procedure di naturalizzazione più eque, se vogliono un sistema libero dall’arbitrarietà e dalle discriminazioni. Chi svizzero lo è già, ora può decidere di dare la possibilità a chi desidera diventarlo di ottenere la naturalizzazione secondo dei criteri chiari ed oggettivi, e di avere le stesse probabilità di riuscita indipendentemente dal comune o dal cantone di residenza. È difficile sostenere che il sistema attuale sia giusto. La nostra non è una proposta utopica.
Vi sono anche motivi economici e soprattutto demografici a spingere in questa direzione?
Certamente. La Svizzera è un paese d’immigrazione, e la diversità fa parte del quotidiano della maggior parte delle persone che vivono qui. Come detto prima, un quarto della popolazione – ovvero due milioni di persone – non ha il passaporto svizzero. Gli individui con un cosiddetto passato migratorio rappresentano invece addirittura un terzo della popolazione del Paese, la metà in Ticino. Questa era la Svizzera ieri, è la Svizzera oggi, e sarà la Svizzera domani. Queste persone hanno contribuito – e continuano a contribuire – al benessere del Paese, sicuramente da un punto di vista economico, ma anche sociale e culturale. Costruiscono la loro vita qui, tessono contatti e relazioni, lavorano e pagano le imposte… eppure due milioni di loro non hanno nessuna voce in capitolo nelle decisioni politiche.
Quindi, per essere molto concreti, in che misura e in che modo ritenete sia possibile cambiare l’attuale paradigma: in sostanza cosa proponete in termini di normative per cambiare la situazione restrittiva attuale? Chi deve deciderle? E chi le dovrebbe attuare se la vostra iniziativa dovesse avere successo?
L’iniziativa per la democrazia propone di cambiare l’attuale paradigma introducendo nella Costituzione dei criteri per la naturalizzazione che siano oggettivi ed esaustivi. Chi vive in Svizzera legalmente da almeno cinque anni, possiede conoscenze di base di una lingua nazionale, non ha commesso crimini gravi e non mette in pericolo la sicurezza interna ed esterna del Paese se lo vuole, deve poter chiedere, e ottenere, la naturalizzazione. Niente più criteri d’integrazione, termini di residenza, e requisiti linguistici che variano da comune a comune, o da cantone a cantone. L’attuale sistema della cittadinanza a tre livelli (comunale, cantonale, e federale) tuttavia resterebbe immutato, e i cantoni e i comuni saranno liberi di scegliere a chi confidare il compito di verificare questi criteri. Non potranno però più decidere di adottarne di ulteriori. Questo permetterebbe finalmente di uniformare le procedure su tutto il territorio e di mettere fine all’arbitrarietà che oggi troppo spesso caratterizza i processi di naturalizzazione.
Per Ulteriori informazioni:
– Dati Eurostat sull’acquisizione della cittadinanza
– Dati UFS sull’acquisizione della cittadinanza, e variazioni intercantonali
– Il sito dell’iniziativa