FemminismoJ'accuse

Sono 9,2 miliardi le ore di lavoro non remunerato fornite in Svizzera nel 2016, cioè “lavoro produttivo non pagato, ma che per principio potrebbe anche essere svolto a pagamento da una terza persona”, nella maggior parte lavori domestici e di assistenza a bambini e adulti. Il lavoro remunerato corrisponde a soli 7,9 miliardi di ore. Le donne svolgono il 61,3% di queste ore di lavoro non remunerato, gli uomini il 61,6% di quello remunerato. Il carico lavorativo complessivo è mediamente uguale per donne e uomini.

Monetizzate, queste 9.2 miliardi di ore corrispondono ad un valore stimato a 408 miliardi di franchi, non meno del 41% dell’economia nazionale complessiva. Lavori che anche laddove sono remunerati vengono svolti prevalentemente da donne.

Già solo da queste cifre, tratte in gran parte dal “Conto satellite della produzione delle economie domestiche 2016” dell’Ufficio federale di statistica, si vede quanto poco è valutato il lavoro di riproduzione: 9.2 miliardi di ore di lavoro non remunerato – ca. il 54% delle ore totali di lavoro – “creerebbero” il 41% del volume economico complessivo del Paese, contro 7.9 miliardi di ore di lavoro remunerato – ca. il 46% del totale – che ne creerebbero quasi il 59%.

E’ logico pagare meno un raccoglitore di pomodori rispetto a chi fabbrica orologi di lusso con alto valore aggiunto, dicono gli economisti. Tenere pulito l’ambiente in cui viviamo e prendersi cura delle persone secondo questa concezione non crea valore aggiunto. Quindi è giusto pagare meno i lavori domestici e familiari, la cura di persone malate o comunque dipendenti, anche se questo, contrariamente ad un orologio di lusso, è fondamentale per la vita.

Se il valore di un lavoro venisse misurato (o meglio: decurtato) secondo i danni causati alle persone e all’ambiente piuttosto che secondo il guadagno per le aziende (e gli azionisti), queste 9,2 miliardi di ore di lavoro non remunerato varrebbero molto di più delle 7,9 miliardi di ore remunerate. E avremmo verosimilmente risolto il problema della discriminazione salariale e dello scarto nella previdenza vecchiaia tra donne e uomini, ma anche tra lavoratori e lavoratrici pagate neppure abbastanza per vivere e dirigenti a cui non basta uno stipendio di un milione all’anno.

E non abbiamo ancora parlato dei lavori che un mercato neppure ce l’hanno, perché seguono le regole del dono.

Rosemarie Weibel, Massagno

Apparso sul Corriere del Ticino dell’11.10.2018