Il Coordinamento donne della sinistra segue con apprensione i casi di violazione dell’integrità della persona, in particolare per molestie sessuali, che in questi anni stanno toccano le più grandi aziende del Cantone.
Oggi sembra esserci stupore generale e giusta indignazione e, almeno a parole, la volontà di intraprendere qualche correttivo.
Tanto per fare un po’ di storia, l’Ufficio federale dell’uguaglianza ha lanciato nel 2005 un programma per promuovere la Legge sulla parità tra i sessi (LPar) nell’ambito delle molestie sessuali. L’allora delegata pari opportunità si occupò del programma in Ticino promuovendo nelle aziende ticinesi misure di sensibilizzazione sul tema delle molestie sessuali e supportando l’introduzione di direttive specifiche.
L’amministrazione cantonale attivò allora il “Gruppo stop molestie”, e la RSI adottò alcune direttive interne specifiche, ma alla luce degli eventi possiamo affermare che queste misure siano state poco efficaci. Come mai questa inaccettabile inefficienza colpisce prevalentemente le donne?
Secondo noi un clima sessista e patriarcale continua a condizionare i rapporti di lavoro all’interno delle aziende – anche quelle pubbliche – attraverso la banalizzazione dei fenomeni di sessismo quotidiano, modelli di cameratismo maschile imperanti, mancanza di assunzione di responsabilità, nessuna conoscenza delle procedure da attivare, paura di perdere consenso tra pari grado. Tutti comportamenti che costruiscono un clima tossico, che porta chi denuncia a sentirsi fuori posto, ad aver paura del giudizio o di non essere creduta, ad aver paura di perdere il posto di lavoro.
Esageriamo? Non proprio, anzi. Il rapporto del 2015[1] del Consiglio federale che valuta l’efficacia della LPar, per quanto riguarda l’analisi dei casi giudiziari presi in esame afferma: “Denunciare le molestie sessuali equivale in genere a perdere il lavoro. […] Le analisi qualitative confermano che, nei casi di denuncia delle molestie sessuali sul posto di lavoro, il mantenimento dell’impiego costituisce l’eccezione, e che non di rado sono le vittime stesse a non voler conservare il posto. Emerge inoltre che sovente insorgono gravi disturbi fisici o psichici, ma anche che molte donne non denunciano le molestie perché temono di perdere il posto di lavoro.”
Anche se negli anni sono cambiate molte cose, non si è veramente fatto un salto di qualità: il #Metoo ha dato voce e legittimità alle vittime, ma le aziende pubbliche e private sono pronte ad ascoltare, a prendere provvedimenti corretti che evitino di vittimizzare due volte chi denuncia, a combattere le forme di cameratismo che tutto mettono a tacere? Perché non garantire una procedura esterna alle aziende affinché si evitino di acuire la sofferenza fisica e psichica delle vittime, al punto da mettere a repentaglio la loro possibilità di continuare a lavorare?
Quindi è un bene che il presidente CORSI (vedi risposta di Luigi Pedrazzini “Molestie all’RSI, non mescoliamo le carte” su LaRegione Ticino a F. Dadò del 9.2.2021) informi dell’avvio di “un’indagine a tappeto su tutta l’azienda per individuare lacune nel sistema che possono aver permesso il diffondersi di comportamenti inaccettabili”, ma per questo dovrà garantire che cambi quella cultura aziendale che ancora oggi accetta dibattiti di interesse pubblico in versione #tuttimaschi, trasmissioni elettorali presentate da soli uomini, ragazzine appena maggiorenni oggettificate tra le risa del conduttore e dell’autore, tweet inopportuni e sessisti, ecc. tutti humus fertile per quei “comportamenti inaccettabili”.
Ci sono Leggi che decretano il divieto di molestie sessuali, e c’è un obbligo per le aziende private e pubbliche di proteggere l’integrità personale delle proprie collaboratrici e collaboratori. Che lo si faccia anche con una procedura chiara, indipendente, credendo alle vittime e senza che queste, alla fine, siano costrette a lasciare il lavoro.
Lisa Boscolo e Nancy Lunghi – Co-presidenti
[1] Rapporto concernente la valutazione dell’efficacia della legge sulla parità dei sessi, in adempimento della mozione 02.3142 (Vreni Hubmann), trasformata in postulato dal Consiglio nazionale il 21 giugno 2002 – Consiglio Federale, 15 febbraio 2006
Documentazione dell’Ufficio federale dell’uguaglianza fra donna e uomo
Documentazione della Segreteria di Stato dell’economia in tema di Molestie sessuali
Principali basi legali
Il principio del divieto di discriminazione è sancito nella Costituzione federale. Secondo il codice delle obbligazioni e la legge sul lavoro il datore di lavoro è tenuto a tutelare la personalità dei lavoratori. L’elemento centrale della legge sulla parità dei sessi è il divieto di discriminazione. Secondo questa legge le molestie sessuali non sono considerate solo una violazione della dignità umana ma anche un comportamento discriminatorio.
Articolo 8 della Costituzione federale: Uguaglianza giuridica
1 Tutti sono uguali davanti alla legge.
2 Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche.
3 Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.
4 La legge prevede provvedimenti per eliminare svantaggi esistenti nei confronti dei disabili.
Articolo 6 capoverso 1 della legge sul lavoro
«A tutela della salute dei lavoratori, il datore di lavoro deve prendere tutti i provvedimenti, che l’esperienza ha dimostrato necessari, realizzabili secondo lo stato della tecnica e adeguati alle condizioni d’esercizio. Deve inoltre prendere i provvedimenti necessari per la tutela dell’integrità personale dei lavoratori».
Le indicazioni relative alle ordinanze 3 e 4 concernenti la legge sul lavoro riguardano esplicitamente i comportamenti che rientrano nella fattispecie delle molestie sessuali e del mobbing e si riferiscono all’articolo 2 dell’ordinanza 3 concernente la legge sul lavoro.
Articolo 328 del Codice delle obbligazioni
1 Nei rapporti di lavoro, il datore di lavoro deve rispettare e proteggere la personalità del lavoratore, avere il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare alla salvaguardia della moralità. In particolare, deve vigilare affinché il lavoratore non subisca molestie sessuali e, se lo stesso fosse vittima di tali molestie, non subisca ulteriori svantaggi.
2 Egli deve prendere i provvedimenti realizzabili secondo lo stato della tecnica ed adeguati alle condizioni dell’azienda o dell’economia domestica, che l’esperienza ha dimostrato necessari per la tutela della vita, della salute e dell’integrità personale del lavoratore, in quanto il singolo rapporto di lavoro e la natura del lavoro consentano equamente di pretenderlo.
Articolo 3 della legge sulla parità dei sessi: Divieto di discriminazione
Nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza. Il divieto si applica in particolare all’assunzione, all’attribuzione dei compiti, all’assetto delle condizioni di lavoro, alla retribuzione, alla formazione e al perfezionamento professionali, alla promozione e al licenziamento. Non costituiscono una discriminazione adeguati provvedimenti per la realizzazione dell’uguaglianza effettiva.
Articolo 4 della legge sulla parità dei sessi: Divieto di discriminazione in caso di molestia sessuale
Per comportamento discriminante si intende qualsiasi comportamento molesto di natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la dignità della persona sul posto di lavoro, in particolare il proferire minacce, promettere vantaggi, imporre obblighi o esercitare pressioni di varia natura su un lavoratore per ottenerne favori di tipo sessuale.
Articolo 5 capoverso 3 della legge sulla parità dei sessi
«Nel caso di discriminazione mediante molestia sessuale, il tribunale o l’autorità amministrativa può parimenti condannare il datore di lavoro ed assegnare al lavoratore un’indennità, a meno che lo stesso provi di aver adottato tutte le precauzioni richieste dall’esperienza e adeguate alle circostanze, che ragionevolmente si potevano pretendere da lui per evitare simili comportamenti o porvi fine. L’indennità è stabilita considerando tutte le circostanze, in base al salario medio svizzero.»
La tutela dalle molestie sessuali rientra nell’obbligo di diligenza dei datori di lavoro o dei quadri dirigenti. Il datore di lavoro può altresì essere ritenuto responsabile se la molestia è causata da lavoratori temporanei, fornitori o clienti.