Nel DNA delle donne non c’è un particolare gene che le rende più adatte al lavoro di cura, assistenza, educazione o casalingo, anche se questo pensiero è molto diffuso. L’immenso valore di questo tipo di lavoro, indispensabile per la nostra società ed economia e spesso molto esigente per quanto riguarda il peso psicologico e fisico, è purtroppo negato al punto che esso diventa del tutto invisibile ed è, ancora oggi in gran parte, caricato sulle spalle delle donne. Secondo l’Ufficio federale di statistica, le donne nel 2013 hanno prodotto il 62% del lavoro non remunerato con un valore monetario di quasi 250 miliardi di franchi. Ed è il lavoro non remunerato, accanto ai salari bassi e al lavoro a tempo parziale, la principale causa della povertà di molte donne in età AVS: le donne ricevono 40% in meno di rendita vecchiaia rispetto agli uomini, e quasi il doppio di donne, rispetto agli uomini, deve far capo alle prestazioni complementari.
Le professioni “tipicamente femminili”, scelte ancora oggi prevalentemente da ragazze, nonostante alcuni lodevoli sforzi fatti nell’ambito della scuola d’obbligo e dell’orientamento professionale per abbattere gli stereotipi in questo ambito, sono storicamente sottopagate e le condizioni di lavoro più difficili: mai capirò perché una persona che, con competenza professionale e umanità, affrontando il lavoro domenicale e serale a turni e che si occupa degli anelli più fragili, ma anche più preziosi della nostra società – dei bambini, dei malati, delle persone con andicap e degli anziani – debba guadagnare meno di chi, ad esempio, insegna all’Università, vende assicurazioni o specula in borsa, e soprattutto solo un’infinitesima parte di quanto guadagna un manager (e uso, in questo caso, volutamente la sola forma maschile).
Chi porta più responsabilità? Chi è davvero insostituibile? Chi ci fa un servizio indispensabile? Chi aumenta la nostra qualità di vita?
Se noi donne andremo a scioperare il prossimo 14 giugno, lo faremo anche per protestare contro l’antica ingiustizia nel riconoscimento del nostro lavoro e per esigere un cambiamento dell’economia: la vogliamo a servizio delle persone, e non del denaro!
di Gina La Mantia, deputata PS in Gran Consiglio
Apparso sul Corriere del Ticino il 24.01.2019