Editoriale dell’ultima Newsletter Gender Law del FRI – Istituto svizzero per scienze giuridiche femministe e genderlaw (genderlaw.ch) – traduzione adattata per il Coordinamento donne della sinistra a cura di Rosemarie

Care lettrici e lettori

In un comunicato stampa del 13 febbraio 2018, la Commissione della scienza, dell’educazione e della cultura (CSEC-CS) informa di voler proporre al Consiglio degli Stati con 7 voti contro 1 e 4 astensioni di approvare il disegno di modifica della legge federale sulla parità dei sessi (17.047), dopo essere entrata in materia del progetto con soli 7 a 6 voti. Non stupisce quindi che la Commissione abbia raccomandato l’approvazione ulteriormente indebolita di un progetto già di per sé minimo e che ciononostante nella sua seduta del 28 febbraio 2018 il Consiglio degli Stati lo abbia rinviato in Commissione perché vengano esaminate “varianti meno burocratiche”.

Dato che sembra comunque oramai politicamente scorretto opporsi ad analisi della parità salariale, l’opposizione contro questa sedicente ingerenza nella libertà di economia e commercio cerca altre vie. Persino l’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo presenta la differenza salariale tra i sessi, che raggiunge tuttora il 18.1%, come spiegabile nella misura del 58% (sic!). Il modello di analisi standardizzato per la verifica della parità salariale uomo-donna nell’ambito degli acquisti pubblici della Confederazione (Logib) contiene tuttora una soglia di tolleranza del 5% che non occorre approfondire e i ricorsi in materia di parità salariale al Tribunale federale sono sempre più spesso destinati all’insuccesso.

Basta introdurre sistemi salariali diversi per giustificare una differenza salariale tra personale amministrativo e docente che si scosta dai risultati della valutazione analitica del lavoro (si veda DTF 8C_693/2016 del 4 luglio 2017 oppure DTF 8C_696/2016 del 29 settembre 2017). La docenza nella scuola dell’infanzia rimane un’occupazione a tempo parziale e nell’ambito dell’analisi semplificata del lavoro si ammettono correzioni a volontà in dispregio persino dei manuali d’istruzione del modello d’analisi scelto (questo si chiama “approccio globale”), vedasi la suddetta sentenza del 29 settembre 2017. Persino avvocate/i esperte/i si vedono rimproverare di non aver sviluppato le loro critiche in modo giuridicamente corretto, le disparità denunciate non sarebbero ravvisabili o ad ogni modo non darebbero “adito a critica”. Anche l’”outsourcing” potrebbe essere un buon metodo per giustificare delle disparità salariali (cfr. DTF 8C_675/2016 del 1. marzo 2016 – è sufficiente che formalmente il datore non sia lo stesso).

E’ vero che tra i Cantoni si registra un certo attivismo ed alcuni prevedono di introdurre il rispetto della parità salariale quale condizione per la concessione di sussidi o hanno già legiferato in tal senso (risposta del Consiglio federale all’interpellanza 17.3768). Ma ci si può domandare se in definitiva non si tratti di cambiare qualcosa perché nulla cambi («Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» – come nella famosa frase in «Il Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

La questione di fondo non viene mai posta: qual è il valore che vogliamo dare ad un determinato lavoro e perché? quali le differenze salariali che riconosciamo giustificate oltre che dal tempo messo a disposizione? Il fatto è che i lavori per soddisfare i bisogni quotidiani di base quali pulire, lavare, cucinare, seminare cereali e ortaggi, raccoglierli e portarli al mercato, curare le persone rimangono poco valorizzati, non creano “plusvalore” – nonostante fossero premessa indispensabile per la vita.

Per la redazione:
Michelle Cottier, Alexandre Fraikin (redattore responsabile), Sandra Hotz, Manuela Hugentobler, Nils Kapferer e Rosemarie Weibel