Andavo all’asilo quando esattamente 50 anni fa gli uomini ticinesi hanno votato per concedere il voto alle donne, e due anni dopo -iniziate per me le scuole elementari- arrivò anche il suffragio femminile, realmente universale, in tutta la Svizzera (escluso Appenzello, che allora non sapevo neppure dove si trovasse). Entravano in quel 1971 nel parlamento ticinese le prime 11 donne, e per la prima volta una donna veniva eletta sindaca a Brusino. A quell’età mi avviavo a formare la mia identità di genere, influenzata dalle esperienze familiari e scolastiche. Cantavamo durante il lavoro “femminile” e tutto sembrava ancora possibile. In adolescenza avevo scoperto il femminismo, e cominciavo a capire che quel possibile era irto di ostacoli. Nel 1981 avevo seguito la votazione per l’introduzione dell’articolo costituzionale sulla parità donne e uomini, nella formazione, nella società e nel lavoro. Mi ferivano i commenti dei contrari e le rappresentazioni umilianti di alcune vignette pubblicate allora su alcuni giornali. Tanto che ne avevo ritagliata una che ho tenuto per diverso tempo incollata alla mia libreria, giusto per ricordarmi che non avrei dovuto accettare mai quella sottomissione economica, sociale e culturale.
E dopo l’entrata in Consiglio nazionale di Alma Bacciarini nel 1979, prima donna a rappresentare il Cantone, è la volta per il Ticino della presidenza del Gran Consiglio nel 1983 con Cristiana Storelli. Nello stesso anno avevo seguito per la prima volta con trepidazione l’elezione del Consiglio federale, Lilian Uchtenhagen era la prima donna candidata a quel ruolo, ma conosciamo come è finita, le preferirono un uomo. L’anno dopo Elizabeth Kopp diventa la prima Consigliera federale, e ci vollero altri 9 anni per la seconda, Ruth Dreifuss. Eravamo in tante nel 1999 a festeggiarla quando divenne presidente della Confederazione. Una emozione intensa, condivisa (e riscaldata) con molte donne di ogni schieramento politico radunatesi per l’occasione sulla Piazza federale.
Negli anni ’80 cominciavo a seguire i fatti politici rendendomi conto delle discriminazioni che le donne subivano in tutti gli ambiti. Il diritto di voto era solo una tappa a cui non avevo partecipato attivamente per ragioni anagrafiche (e ringrazio ancora tutte coloro che lo fecero) e in età adulta non potevo mancare a un ulteriore appuntamento con la storia, il primo sciopero nazionale delle donne del 1991. Da allora non ho più smesso di occuparmi di giustizia sociale, di giustizia per le donne.
Forse Marina Masoni non è stata la mia Consigliera di Stato preferita, ma è stata la prima che nel 1995 ha sfondato il tetto di cristallo di quel club che fino ad allora era stato solo maschile (e lo è ben presto tornato).
Ho una certa vertigine ripensando a questi 50 anni di “prime volte” in cui le donne hanno occupato lo spazio politico in Ticino e in Svizzera. C’è voluto un secondo sciopero delle donne, l’impegno trasversale di diverse organizzazioni, la ferma volontà delle donne a non voler arretrare, anzi a voler affermare la propria soggettività politica a tutti gli effetti per ottenere quel 42% uscito dalle urne lo scorso 20 ottobre.
Con il voto di ballottaggio del prossimo 17 novembre a Marina Carobbio Guscetti possiamo aggiungere un ulteriore tassello alla storia del nostro Cantone, garantendo per la prima volta la rappresentanza femminile ticinese al Consiglio degli Stati. Una rappresentante solida che ha difeso la nostra lingua durante tutto l’anno da prima cittadina, una figura politica che ha dimostrato di sapersi confrontare con le sfide di questo tempo.
Pepita Vera Conforti
pubblicato il 6 novembre 2019 su LaRegione